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Il rugby al tempo del Coronavirus - Le leggi non scritte

02 aprile 2020

 Il rugby al tempo del Coronavirus 

Il rugby e le leggi non scritte

Dopo bilanci del lavoro in palestra, le proposte di svago e lettura, le sessioni di esercizi fisici da fare coi nostri tecnici collegati in vario modo, esaminiamo assieme al nostro Club alcuni aspetti del rugby che sono tecnici, organizzativi e fondativi per il nostro sport. Il periodo che stiamo vivendo non è dei più felici, ma proviamo a gestire il tempo, che in fin dei conti ci è donato, per proseguire nel nostro viaggio nella cultura del Rugby.
Oggi ci mettiamo nei panni di chi prepara e mette assieme le squadre. Parrebbe un lavoro banale se bastasse sommare un numero progressivo di giocatori fino ad assicurare una continua presenza di 22 giocatori in campo. Questa necessità non è smentibile, ma quando, come nel nostro caso, le rose cominciano ad assumere interessanti proporzioni allora questa condizione basilare richiede  altre ed alte considerazioni. 

La prima considerazione per squadre che fanno agonismo è spietata: per una squadra di rugby non esiste un "quindici ideale”, o meglio è praticamente impossibile schierare per lunghi periodi gli stessi uomini che sono ritenuti i migliori, ruolo per ruolo. Sono troppe le variabili che giocano su questa situazione, ricordando sempre che il nostro sport è definito uno sport "di contatto”. Quindi il primo problema è intrinseco allo sport stesso sia per il considerevole numero di giocatori da schierare, sia per il numero di contatti che questi subiscono. Poi abbiamo gli infortuni di "preparazione” che possono non dipendere dal contatto, gli inevitabili cali di forma fisica, ma anche e soprattutto cali di presenza mentale.  A seguire non sono trascurabili  gli infortuni esterni che sono molto più frequenti nei nostri giovani polisportivi di quanto si possa credere e per finire le malattie che possono colpire qualunque gruppo numeroso. Non cito, ma ricordo, anche l’alto numero di impegni extra-sportivi che influiscono su disponibilità e presenza , essendo i nostri gruppi socialmente molto attivi.

Questo quadro allora ci porta a ragionare sul cosidetto "doppio quindici” che è un fondamentale obiettivo in un gruppo organizzato. In pratica si dovrebbe avere un backup per ogni  ruolo e quindi, automaticamente, si tende a raddoppiare il numero dei giocatori che un saggio turnover, unito alla spietatezza del nostro sport, porta a schierare rapidamente nelle competizioni. Qui ora ci viene in aiuto la Legge di Liebig (o legge del minimo) ben nota a chi si occupa di fenomeni di crescita biologica. Questa legge afferma che "la crescita è controllata non dall'ammontare totale delle risorse naturali disponibili, ma dalla disponibilità di quella più scarsa”. Per spiegare la sua legge Liebig usò l'immagine di un barile, che in seguito venne chiamato barile di Liebig. 
Così come la capacità di un barile con doghe di lunghezza diversa è limitata dalla doga più corta, anche la crescita di una pianta è limitata dalla sostanza nutriente in quantità minore. Ed è esattamente quello che avviene in un gruppo di rugbysti che si assembla per fare squadra. Il più debole fa da doga bassa della nostra botte, e prima o poi nel 15 questo giocatore entra in gioco condizionando la prestazione complessiva.

Come potete leggere nella nostra raccolta di aforismi, Charlie Saxton (Mediano degli All Blacks ed allenatore di rugby) ci dice che "Il rugby sono 14 uomini che lavorano insieme per dare al quindicesimo mezzo metro di vantaggio". La differenza tra una squadra all’altezza e una che prima o poi non riuscirà a superare l’ostacolo è quindi sulle qualità non di quei 15 schierati in campo, ma dei quei 30 ed oltre giocatori che compongono il gruppo. Sarà sempre la "doga bassa” a determinare la prestazione nel lungo periodo. Questo è inevitabile ed è per questo nelle squadre agonistiche prestiamo grande la cura delle riserve fino al trentesimo giocatore   per ottenere squadre sempre più competitive.

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