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Io sono un pilone.

15 maggio 2020

 Questa settimana ospitiamo e ringraziamo un "vecchio" amico sandonatese , pilone titolare della squadra che calcò per prima i campi da rugby di San Donato. Tony De Grandis ci ha scritto, offrendo a chi ama leggere storie di vita e di rugby un'ulteriore opportunità di lettura con il suo libro "La scelta Sbagliata?" appena pubblicato. 

Io sono un pilone. 

Nel 1979, grazie al Mister Ferrarini, iniziai un lungo percorso grazie al quale diventai un pilone, un pilone destro, il numero 3 di quello splendido insieme di uomini e cuori che formano il pacchetto di mischia di una squadra. Già! La mischia. Non è facile raccontare la tensione di quei quattro o cinque secondi in una mischia ordinata. Otto cuori che pompano sangue al limite del collasso, con i muscoli tesi fino allo spasmo e il tuo avversario da domare e rispettare. Il sudore nonostante il freddo sgorga da ogni tuo poro, il fango e la vasellina, che cosparge le tue membra, si mischiamo, il rumore dell’impatto della prime linea e poi l’urlo finale del mediano: "è uscita!” In quel momento molli la presa e inizi a correre per aiutare e supportare i tuoi compagni perché senza di te difficilmente potranno farcela, difficilmente appoggeranno la palla dopo la riga del destino e faranno sì che lo scopo di tanta fatica diventi realtà.

 Corri, placchi, cadi e ti rialzi. 

Spingi pilone, spingi e corri. Ferma il tuo avversario e poi rialzati, in campo come nella vita, perché questo ti hanno insegnato e questo è ciò che sai fare: lottare e combattere per uno scopo, lottare per supportare i tuoi compagni e lottare per rispettare i tuoi avversari in campo e fuori dal campo. Poi dopo 80 minuti tutto finisce, ogni cosa termina, ogni tensione cessa come per un incantesimo splendido e allora il saluto con il petto gonfio di orgoglio e rispetto, l’abbraccio con i tuoi fratelli e con i tuoi avversari, l’abbraccio con quell’urlo goliardico e poi il corridoio finale in cui, per una ultima volta ringrazi e saluti chi ti ha permesso di vivere questa favola fatta di uomini e fango, sudore e sangue, dolori e piaceri. 
Non finirò mai di ringraziare il Mister che magistralmente riuscì a farci assimilare tutto questo, riuscì a guidarci in modo da mettere in pratica fuori dal campo la stessa disciplina che pretendeva, e esigeva, in campo e così a molti, me compreso, salvò la vita. Anni difficili quelli, luogo difficile San Donato Milanese, ma grazie a questa disciplina riuscimmo a salvarci. Quasi tutti.
Questa storia l’ho voluta raccontare in un libro, la storia di come uno sport mi ha permesso di arrivare a essere quello che ora sono. Non ho la presunzione d’insegnare niente a nessuno, non ho la brama di volere avere ragione e tanto meno ho la presunzione di sapere come scrivere un qualcosa sul rugby. Semplicemente vi racconto la mia storia. Semplicemente ho cercato di raccontarvi quello che ho vissuto e quello che il rugby mi ha dato, senza fronzoli, senza giri di parole o falsi moralismi e senza mitizzare questo sport di uomini che a me tanto ha dato ma, purtroppo, tanto più avrebbe potuto darmi.
 
Chi volesse proseguire la lettura di questa storia di rugby e di San Donato può acquistare il libro qui.

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