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Il rugby che cambia - Visto da una seconda linea

22 maggio 2020

 Il rugby che cambia - Visto da una seconda linea

 Il nostro consigliere e seconda linea di mischia prende il testimone e prosegue la serie di contributi che raccontano un rugby pioneristico ed evidenziano le non poche differenze del rugby di 40 anni fa da quello di oggi. Paolo Malacart è uno dei fondatori della società del rugby sandonatese attuale e ci offre un'altro interessante punto di vista da dentro la mischia.


 Sedici anni, un metro e novantadue di altezza per 92 kg di peso (all’epoca) un cespuglio di ricci ribelli in testa che alzava ulteriormente la mia figura, una figura che girovagando per i corridoi dell’Omnicomprensivo, non poteva certo passare inosservata soprattutto per l’occhio vigile e selettivo del Talent scout nonché docente stimato ed amato di educazione fisica dell’epoca Carlo Ferrarini.

Per la mia fisicità ed una forte avversione per il calcio ero il candidato ideale per ricoprire il ruolo di SECONDA LINEA nella squadra che stava formando Carlo per affrontare i campionati studenteschi.

Senza avere la più pallida idea di quale sport il Prof. Ferrarini mi stesse proponendo, la sola idea di potermi buttare in una mischia di ragazzi e spingere, lottare per conquistare una palla dalla forma anomala, era lo stimolo ideale per un ragazzo delle mie dimensioni, non sufficientemente veloce per altri sport, ma con la necessità di sfogare una energia esplosiva di adolescente spesso repressa per estrazione sociale ed educazione.

Nei diversi anni di gioco cercarono di insegnarmi le diverse regole del Rugby, non tante (meno di oggi) ma comunque troppe per la mia età e voglia di apprendere dell’epoca, ne feci mie solo le principali per le altre c’era il fischio dell’arbitro che "inspiegabilmente” interrompeva il gioco da cui ripartire con una mischia o con un salto in touche dove però non esistevano i sollevatori eri solo tu con la tua energia propulsiva a doverti lanciare verso l’alto per recuperare la palla lanciata dal tallonatore contrapponendoti con la tua sola fisicità al tuo avversario.

La mischia chiusa per la seconda linea, come per la prima, era un dispendio di energie enormi ed una prova di resistenza senza eguali, se sopravvivevi allo sforzo fisico della spinta erano le immancabili esalazioni poco gradevoli della mischia stessa a fiaccarti, che aumentavano di intensità proporzionalmente ai minuti di gioco e da cui non potevi sfuggire avendo la testa bloccata tra i morbidi fianchi della prima linea.

All’uscita della palla dalla mischia, 20 secondi era il tempo minimo necessario per capire chi fossi, dove eri e cosa sarebbe stato meglio che tu facessi per rientrare in gioco, troppo tempo per poter essere subito d’aiuto ai tuoi compagni che contavano sul tuo "sporco” lavoro per avanzare nel campo e quindi intervenivi a rilento nelle azioni coprendo le retrovie delle più agili e svincolate terze linee seguito a tua volta dalle prime linee che il più delle volte dovevano anche rialzarsi da terra, ma sufficiente per essere pronto ad una nuova mischia o l’ennesimo salto in touche. 

Semplicistico dire che è stata una scuola di vita che, oltre a formare solide amicizie nel tempo che tutt’ora apprezzo, grazie ai valori che questo sport mi ha trasmesso ho spesso avuto gli strumenti ideali per affrontare quella partita futura che sarebbe stata la mia vita da adulto.

Paolo Malacart



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